Come ha in più sedi sottolineato Paolo Carpeggiani*, il Palazzo Ducale di Mantova si configura come un complesso di edifici realizzati in un ampio arco cronologico, dal Medioevo al tardo Rinascimento, raccordati tra loro da strade, piazze, cortili, giardini: una vera e propria città, come apparve al barone di Montesquieu, in visita a Mantova nel 1729.
Alla morte di Federico II Gonzaga (1540) era costituito da una serie di fabbriche solo parzialmente aggregate tra loro; la residenza dei Gonzaga assume l’aspetto di palazzo in forma di città negli anni compresi tra il periodo della reggenza del cardinale Ercole Gonzaga (dal 1540) e gli anni del ducato di Guglielmo Gonzaga, morto nel 1587. La ragione primaria di tale evoluzione è da ricercarsi nel radicale mutamento dell’assetto istituzionale e politico-economico del principato, che, tramite una serie mirata di riforme, diviene stato assoluto. Palazzo Ducale deve rispondere alle plurime esigenze derivate dal nuovo ordinamento dello stato, fornire luogo di celebrazione prestigioso e funzionale per ogni rito, laico e religioso, della corte, configurarsi come immagine di potere.
Giovan Battista Bertani, che eredita da Giulio Romano la carica di prefetto delle fabbriche ricoperta dal 1549 al 1576, imprime un impulso importante alla realizzazione del complesso ducale. Tra le sue opere si ricorda il primo teatro stabile di corte e l’appartamento di Guglielmo Gonzaga in Corte Nuova. La sua impresa di maggior impegno è senza dubbio la realizzazione della chiesa palatina di Santa Barbara. Il tempio assume nel complesso della città del principe posizione nodale, sottolineata dalla monumentale torre campanaria
Alla morte del Bertani la piazza davanti a Santa Barbara è ancora informe: a conferire aspetto regolare a tale spazio provvede nel 1581 Bernardino Facciotto. Il suo progetto, testimoniato da tre disegni, prevede un corridoio-loggiato, ma l’aspetto originario della piazza è stato radicalmente modificato da Paolo Pozzo nel 1780 con la costruzione di botteghe per la fiera annuale.
Realizzata S. Barbara, si avvia la costruzione della canonica, affidando il progetto a Pompeo Pedemonte, che prevede un grande edificio a pianta quadrata con cortile interno porticato. Alla morte di Guglielmo i lavori cessano e rimane solo un corpo di fabbrica verso il cortile del Pallone: tra i due corpi alle testate, riservati ai canonici di grado superiore, sono compresi sette alloggi perfettamente omologhi, un vero e proprio esempio cinquecentesco di edilizia modulare.
*Si veda ad es. L’architettura dal Bertani al Viani, in Il Palazzo Ducale di Mantova, a cura di G. Algeri, Mantova, Sometti, 2003 e Santa Barbara chiesa palatina. Il palazzo, la piazza, la canonica, in La basilica palatina di Santa Barbara in Mantova, a cura di L. Mari, Lucca, LIM, 2022
La basilica palatina di Santa Barbara, chiesa di corte dei Gonzaga, fu fatta erigere, con il campanile, dal duca Guglielmo fra il 1562 e il 1572, su disegno di Giovan Battista Bertani.
La facciata è caratterizzata da tre archi, sormontati dal frontone, che introducono nel vestibolo d’accesso, sopra il quale, all'interno, si trova la grande cantoria per i musici.
L’interno a navata unica con cappelle laterali, presenta due grandi lanterne quadrate, di cui una al centro, l’altra sopra l’altare maggiore, cui si accede tramite una scalinata semicircolare. Domina il coro il Martirio di S. Barbara, la grande pala dipinta da Domenico Brusasorci su invenzione del Bertani, racchiusa in una ricca cornice. La lunetta superiore che oggi vediamo, è opera settecentesca di Pietro Fabbri: l’affascinante originale - sostituito perché ammalorato - è ancora conservato nel patrimonio della Basilica. Di fianco all'altare maggiore una scala porta alla cripta, ripartita in tre navate con un sacello a pianta ellittica.
Le pale dei due grandi altari laterali sono di Lorenzo Costa il giovane su idee del Bertani (a destra Il battesimo di Costantino, a sinistra Il Martirio di Sant’Adriano). Sono attribuite a Fermo Ghisoni le figure dipinte su ambo le facce delle ante dell’organo (Santa Barbara e San Pietro da un lato; L’Annunciazione dall’altro). Altri quadri di pittori giulieschi sono sugli altari piccoli: a destra La consegna delle chiavi a San Pietro di Luigi Costa e Santa Margherita di Giambattista Giacarelli; a sinistra Il battesimo di Cristo di Teodoro Ghisi e La Maddalena dell’Andreasino. I quattro ovali sono opera di Pietro Fabbri (Santa Lucia e Santa Caterina), di Amadio Enz (Sant’Anna con Maria bambina), e di un anonimo del secolo XVII (Sant’Antonio con Gesù Bambino). Una cappellina appartata a sinistra contiene invece una quadro settecentesco, del Bazzani (Madonna e santi).
Il presbiterio, sopraelevato, è chiuso da una cancellata settecentesca; del tardo ’600 sono gli stalli del coro, finemente scolpiti e provenienti dalla demolita chiesa di San Domenico. Le statue polimateriche sono del secolo XVII. Il lampadone posto davanti all’altare maggiore è stato commissionato dal duca Vincenzo I.
Una chiesa per il duca Gonzaga, dunque, ricca nel patrimonio (basti solo pensare agli arazzi su cartoni di Raffaello, lasciati dal card. Ercole a Guglielmo e da questi donati alla sua Basilica), in cui gli uffici divini assumono solennità, ricchezza, attraverso una organizzazione precisa ed articolata. Una chiesa “che suona”, non solo per la cappella musicale di cui viene ben presto fornita, ma per i diversi spazi da cui può provenire la musica. Una chiesa che è diversa da tutte le altre perchè il progetto di Guglielmo sottende l’idea di onorare Dio e insieme di mostrarsi “vero signore” del suo tempo; ciò trova le sue risposte concrete nelle realizzazioni di quanti lavorano in S. Barbara, per la sua costruzione e per la sua vita religiosa e artistica.